sabato 30 giugno 2012

Siluro, Un Po Di Storia...

Racconto tratto da una pagina Internet la quale risulta essere stata aggiornata per l' ultima volta nel lontano Dicembre 2005.
Al suo interno potrete leggere interessanti e dettagliate spiegazioni riguardanti il nostro "Siluro Italiano", le prime immissioni, la commercializzazione delle sue carni e la pesca indiscriminata...
Concetti a mio avviso molto interessanti, fondamentali e determinanti per fare un po' di chiarezza su ciò che è stato, è e sarà il futuro del Silurus Glanis.
Un racconto di "vecchia data" ma non per questo deve essere dimenticato, a punto tale da volerlo pubblicare, memorizzandolo così all' interno del mio Blog.
Buona lettura...

1998, Centrale Nucleare di Caorso in provincia di Piacenza, accade qualcosa..
Non necessariamente un incidente all’impianto, ma un qualcosa capace di determinarne la fine produttiva e da innalzare il tasso di radioattività nei fanghi bagnati dalle acque di raffreddamento, un qualcosa non tanto grave da non potersi nascondere, tipo Chernobyl in Ucraina, ma abbastanza da dimostrare la pericolosità di quel tipo di stabilimento, da far saltare abbastanza teste e da costringere una spesa tale per correre ai ripari, da rendere necessario un velo di bugie e sabbia per seppellire il tutto.
Come è intuibile la radioattività non contamina solo il fango, ma arriva attraverso la catena alimentare a fissarsi nel super predatore presente nelle acque: il siluro.
Questo pesce, importato dall’est, vittima e carnefice, è il fulcro della storia.
Come è possibile nascondere un dato fisico come la contaminazione in un pesce? Basta, ed è un dato di fatto, non richiedere nei presupposti igienici di controllo quel tipo d’analisi.
In ogni caso era importante vigilare, in modo occulto, che materiale biologico a rischio non venisse ricondotto alla fonte della fuga radioattiva.
1998, controllare le USL non è difficile, controllare i mercati o le associazioni ambientaliste non rappresenta un problema, i primi schiacciati dalla burocrazia fiscale, i secondi senza un reale peso politico e con un impegno part-time, ma qualcosa sfugge, un fenomeno che non era prevedibile.
Il siluro è considerato un piatto prelibato nei paesi d’origine ed in particolare in Ungheria, dove anni di pesca indiscriminata e una pessima politica ambientale ne ha drasticamente ridotto la popolazione.
Al contrario la colonia presente nel fiume Po è in aumento, vivendo in un’area priva di nemici naturali specifici e a temperature più alte dei luoghi di provenienza, il siluro italianizzato raggiunge taglie impressionanti, resiste agli agenti inquinanti e si riproduce in modo soddisfacente.
Così, per un mero principio di tornaconto, il siluro italiano rappresenta per gli Ungheresi il massimo risultato con il minimo sforzo, tanto più che sul fiume Po il siluro è mal visto e la volontà prevalente è quella di eliminarlo.
1998, una pattuglia ferma in transito sul tratto autostradale della provincia di Piacenza un furgone di Ungheresi, quattro per la precisione, hanno a bordo reti e una cella frigo con filetti di siluro, chi vigila in modo occulto interviene, e decide di far proseguire il viaggio ai cittadini dell’est; perché?Era necessario che il pesce non venisse analizzato, era necessario non creare il "caso", ma soprattutto l’Ungheria non è ancora entrata in Europa, non fa ancora parte della CEE al momento del controllo quindi quel pesce è più vantaggioso che sia venduto e mangiato in Ungheria, piuttosto che certificare un prodotto come quello regolarizzando la sua provenienza con un verbale.Sfugge ancora qualcosa, uno dei fermati è L.M, Unghesere, è proprietario di pescherie e allevamenti di pesce tra Budapest e Ghyor, indicato come un piccolo mafioso locale, che si era arricchito frodando pesci dai bacini Ungheresi, indagato in patria per la scomparsa di due guardia pesca locali; lui interpreta quel non operare delle autorità Italiane come l’opportunità di sfruttare una risorsa immensa.
Ad agevolare tutto questo nelle province rivierasche sta accadendo un nuovo fenomeno legato al siluro.
La pesca nelle acque interne è gestita a livello Regionale e la sua amministrazione e delegata alle province, il siluro non rappresenta una vera minaccia biologica, non più di altri pesci o animali dichiarati innocui, ma può rappresentare il capro espiatorio per il sensibile calo di pesce determinato dall’inquinamento e dalle opere di ingegneria civile, fenomeni tollerati da Regioni e Province.Così, nel 1993, viene chiesto di effettuare una studio sull’impatto ambientale del siluro commissionato dalla giunta dell’Emilia Romagna ad un' associazione di sportivi di Ferrara: non ad un Università, non ad un centro di ricerca o una commissione di biologi ed ittiologi, ma una associazione di pesca gestita dalla Provincia, con personale della provincia, che gli unici contatti con la biomassa fluviale lo ha solo la domenica con una canna da pesca in mano.
In cambio di un giudizio negativo Ferrara riceve dalla Regione 65 campi di gara permanenti (cioè per pescare a Ferrara paghi la ....) mentre le altre Province dal delta alla sorgente non arrivano a trenta sommandole tutte.
Questa manovra di demonizzazione del siluro era necessaria agli sviluppi futuri e nel 1993 (e a tutt’oggi) non esisteva una studio certificato che stabilisse con dati obbiettivi e scientifici la reale pericolosità del siluro, non esistendo studi ufficiali non potevano essere smentiti, inoltre leggende e chiacchiere da bar già presenti prima della delibera del ’93, indicavano il siluro un vero e proprio mostro, quindi bastava confermare quanto già si pensava per renderlo ufficiale.
Ma chi e soprattutto come si poteva guadagnare parlando male del siluro?
Ripopolamenti inesistenti ma per cui erano stanziati i fondi, verifiche agli impianti industriali a rischio mai effettuati, taglie sulle carcasse stanziate ma mai erogate, inceneritori, bacini di contenimento destinati a "limitare la presenza del siluro" (così recita la delibera 1574/93 della giunta Regionale Emilia Romagna) mai costruiti ma per cui sono state giustificate spese, ma soprattutto l’opportunità di avere qualcuno da incolpare per il calo della fauna ittica e del degrado ambientale: il "Silurus Glanis".
Ma oltre alle Regioni e Province coinvolte anche altri enti traevano (e traggono) vantaggio dalla presenza del mostro, il più rappresentativo ed emblematico è l’ENEL: centrale idroelettrica di Isola Serafini, guarda caso sempre in Emilia Romagna, sempre in Provincia di Piacenza.
La centrale rappresenta, dal giorno della sua messa in opera fino ad oggi, il più nocivo degli impedimenti passivi al flusso migratorio delle specie ittiche, costruita in violazione del regio decreto 54/31 e attiva illecitamente secondo la delibera comunitaria del ’91 in materia di ambiente, come per magia cessa di essere pericolo per lo storione (protetto dalla convenzione di Washington a cui l’Italia ha aderito) con l’affermazione della pericolosità del siluro, così come l’innalzamento della temperatura delle acque reflue o la diossina non sono più causa delle morie di pesce; inoltre l’ENEL aveva un’ulteriore macchia: dal 1957 al 1965 per evadere le sanzioni derivanti dal Regio Decreto che fa? Ripopola con il Siluro D’Europa il Po (ha a suo carico centinaia di milioni di iva intra-comunitaria che testimoniano l’acquisto di 24.000 tonnellate di pesce vivo dalla Francia!), insomma, se ci si chiede come mai il Siluro è in Italia, dite "grazie ENEL".Ma torniamo a L.M...
Un buco nella normativa sanitaria sul trasporto del pescato che non prevede nulla (proprio nulla, l’eventualità non è neanche contemplata) circa il trasporto del pescato per uso "privato", e l’opportunità delle Province di rilasciare (a pagamento) licenze di pesca sportiva in modo indiscriminato, l’impossibilità della riscossione delle sanzioni erogate a stranieri dagli organi di controllo (guardia pesca) consentono a M. nel giro di pochi anni di contare su centinaia di affiliati (attualmente sono circa trecento quelli identificati) ed una flotta di barche da pesca sul fiume Po di settanta natanti, un centro di raccolta a Porto Tolle in provincia di Rovigo, un numero imprecisato di imprese connesse in Ungheria ed un fatturato di quattro milioni di euro l’anno netti.
Il sogno Americano realizzato sul Po a danno dell’ittio fauna e della salute pubblica, vendendo filetti di siluro pescati in PO certificandoli come provenienti dagli allevamenti dell’Est.
Ma non tutti erano rimasti a guardare in silenzio, un’associazione ambientalista (la cosa partì solo da una e le altre seguirono la scia) che promuove il catch and relase del siluro, decise di monitorare autonomamente il fenomeno Ungheresi, e dopo aver raccolto elementi sufficienti, il presidente e alcuni consiglieri, decisero di informare la Guardia di Finanza di Piacenza.
Le indagini svolte, confermarono tutto su L.M. e la sua organizzazione, con in più il macabro reperto video, acquisito dai militari, in cui si vede come in un campo da pesca viene macellata una carcassa di siluro tra nugoli di mosche, risciacquata nell’acqua del Po, imbustata e inviata in un furgone attrezzato come frigo.
La versione ufficiale del perché non scaturì un’informativa di reato e non fu fatto nulla nei confronti dell’organizzazione, fu perché il reato non era consumato in Italia: la frode in commercio si perfezionava in Ungheria e li il nostro codice penale non vale, oltre all’ovvio, ammettere l’esistenza del fenomeno avrebbe fatto emergere tutto ciò che gravitava intorno al siluro, compreso Corso e la sua Centrale, un rischio non accettabile, inoltre se veniva dimostrato che il traffico era iniziato nel 2000, e l’Ungheria è entrata in Europa nel 2004, si poteva anche mettere in discussione la vigilanza sul libero transito delle merci se non la stessa entrata nella comunità dell’Ungheria.
Il risultato sono l’innalzamento di leucemie e tumori in Budapest e Ghyor (documentati da fonti Ungheresi) verosimilmente legati all’alimentazione con pesce Italiano importato illegalmente, in quanto il consumo di pesce d’acqua dolce in quei paesi è molto maggiore rispetto agli standard nazionali, ed i controlli sanitari pressoché inesistenti.
Questo flusso di pesce sul territorio Ungherese nel 2005 satura il mercato, auto inflazionatosi per aver trasformato un piatto di lusso in un prodotto di largo consumo, inoltre le spese di trasporto, che rappresentano il capitolo di spesa maggiore (il pesce è preso praticamente gratis) impone una ricerca di mercato che trovi sfoghi commerciali geograficamente più vicini al fiume Po: richiesta e offerta coincidono e nell’estate del 2005 il siluro "Ungherese" appare nei mercati ittici Italiani.
Torino, Roma e Milano sono i primi, Torino è talmente entusiasta della cosa da pubblicizzare il filetto di siluro anche su internet, e pubblica un listino di borsa (che come è posto è gia un reato) dove viene venduto al triplo della trota salmonata! Si aggiunge dopo poco anche Chioggia.
La notizia della pesca di frodo fatta in modo industriale raggiunge i media, qualche articolo sui telegiornali nazionali e i listini scompaiono, ma il siluro è ancora presente sui mercati ittici; ora il reato è consumato in Italia con tutti gli effetti del caso, e lo Stato che fa: nulla.
Nessun controllo ai campi da pesca, nessun accertamento sanitario nei mercati, nulla in definitiva che possa ostacolare il fenomeno, il siluro continua ad essere additato come cattivo e l’ "Ungherese" non esiste.
Non esiste ma ha acquistato otto licenze di rivendita di pesce nel comune di Roma, l'ultima il 12.06.2005.

Nessun commento:

Posta un commento