L’abbandono
di rifiuti sulle sponde dei bacini lacustri e delle sponde fluviali è un male
che sembra inarrestabile, e rappresenta una manifestazione di inciviltà e di sub
cultura indegna di un popolo civile.
Sono
migliaia in Italia i km di sponde contaminate dall’abbandono di rifiuti e tale
realtà, in taluni casi, ha assunto proporzioni devastanti, tanto da far
classificare intere aree come SIN (Sito d’Interesse Nazionale per
l’inquinamento).
Il
reato di abbandono di rifiuti si concretizza qualora vengano rinvenuti cumuli
di materiale in stato di degrado e abbandono, sia in aree pubbliche che
private.
La
fattispecie di reato trova disposizione all’art. 255 del D. Lgs 152/06 (Testo
Unico Ambiente e s.m.i.), dove oltre alla sanzione, il reo ʺè tenuto a procedere
alla rimozione, all’avvio a recupero e allo smaltimento dei rifiuti e al
ripristino dei luoghiʺ: lo stesso obbligo ricade sul proprietario o conduttore
dell’area.
Il
sindaco ʺdispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il
termine entro cui provvedereʺ: se il colpevole ʺnon ottempera all’ordinanza, è
punito con l’arresto fino a un annoʺ.
Il
problema reale è che difficilmente si coglie in flagranza l’azione e che le
sponde di fiumi e laghi sono di proprietà demaniale o comunale, obbligando
quindi i comuni stessi alla rimozione, i quali, con tagli di bilancio e patti
di stabilità, quasi mai hanno le risorse per pagare le colpe degli altri o
“pulire quello che altri sporcano”.
Questo
porta i rifiuti a sostare per tempi lunghissimi sui siti, diventando il segnale
e l’imput per altri scaricatori.
Quando
la condotta quindi diventa reiterata e conseguente ad un’attività organizzata
non si ha semplicemente abbandono, ma si realizza una discarica abusiva: cioè
quando i rifiuti vengono accumulati in un’area trasformata di fatto in deposito
degli stessi, mediante una condotta ripetuta, consistente nell’abbandono (per
un tempo considerevole e comunque non determinato) di una notevole quantità,
che occupa uno spazio cospicuo.
Tale
reato ovviamente ingigantisce sia le problematiche di bonifica che i costi,
oltre ovviamente ad amplificare il danno ambientale.
Contrariamente
a quanto si pensi, la nascita del TU Ambiente nel 2006, determinando una
procedura più astringente e complessa nella gestione dei rifiuti, ha dato il
via ad un esponenziale susseguirsi di abbandoni incontrollati, specie legati
alle piccole imprese edili.
Iscrizione
all’Albo Gestori Ambientali dei mezzi, Formulari d’Identificazione Rifiuto
(FIR), accettazione in impianto autorizzato e soprattutto i costi onerosi di
queste operazioni, hanno spinto molti privati e piccoli artigiani a disfarsi
dei loro rifiuti ingombranti dove capita.
Questo
poi è amplificato se si tratta di “rifiuti speciali pericolosi” ed in
particolare Eternit edile, frigoriferi, pneumatici, batterie, neon, etc:
all’aumentare dei costi di smaltimento e al complicarsi delle procedure
gestionali corrispondono l’aumento degli abbandoni sul suolo.
A
farne le spese sono soprattutto le sponde dei fiumi, le aree periferiche
cittadine, i confini delle aree boscate, in quanto aree rinomate per la scarsa
vigilanza.
Quindi
la causa dell’abbandono di rifiuti non si riscontra solo nell’inciviltà e
nell’ignoranza di chi compie tali gesti, ma anche in un protocollo gestionale
legale spesso irrealizzabile per un privato o drammaticamente costoso per una
piccola impresa o un artigiano.
In
molti comuni ove è stata istituita la raccolta differenziata, ad esempio, si
riscontra un aumento di abbandono dei rifiuti indifferenziati domestici (RSU)
nelle aree limitrofe: questo è un esempio di ignoranza e pigrizia mentale che
spinge alcuni soggetti a percepire come fastidioso o difficoltoso differenziare
i rifiuti.
In
altri comuni invece dove si è istituita la tracciabilità digitale dei rifiuti
edili e industriali, aumenta l’abbandono da parte di artigiani e piccole
imprese che difficilmente riuscirebbero a mettersi in regola a basso costo.
Premesso
che la gestione dei rifiuti responsabile è prima di ogni cosa frutto di una
cultura ragionevole e sensibile, e che è proprio sulla “cultura” il primo
intervento da realizzarsi a tutela dell’ambiente, l’attuale normativa di
gestione dei rifiuti appare incongruente lasciando “libero mercato” ai prezzi
dello smaltimento, cosa che fa inevitabilmente aumentare i prezzi forti
dell’obbligo di chi non può (o vuole) sottrarsi ad una gestione legale dei
rifiuti.
Oggi
a farne le spese di questo stato di caos e degrado culturale/gestionale sono
inevitabilmente gli ambienti naturali, e chi pesca e frequenta fiumi, canali e
laghi, lo sa.
Gianluca
“Il Basco” Milillo
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